Ho provato a smettere tante volte in nome di qualche app ma poi
quel volume gigante, i fogli di carta sottili, lo STOPMF che fa quando lo metti
sul tavolo, cercare una parola, finire sulla pagina sbagliata e perdersi, sfogliarlo dall’angolo in alto a destra ripetendo a mente l’alfabeto: a, b, poi
ancora a, b, la prima lettera, la seconda...e dimenticarsi sempre dove sta la
J… non resisto!
Leggo anche parole a caso poi anche…sì, sì, sì, tutti i
significati e gli usi anche se non mi servono e poi… i sinonimi. Sììììì anche i
sinonimi! Centinaia di migliaia di parole di cui usiamo e conosciamo solo poche
migliaia (quando dice bene).
L’insana decisione di riprodurmi ha compreso l’ancora più
insana idea di tramandare l’uso della lingua italiana! Oggi so che era un progetto
arduo, nulla può contro Sua Maestà lo schermo.
Ho farcito gli eredi di buon cibo e buon italiano. Ho
tappezzato le pareti di coniglietti – cosciente che dagli orsetti ai “Cure” il
passo sarebbe stato breve e che l’umidificatore a forma di pinguino era
effimero e temporaneo.
Ho messo in tavola cibi biologici coltivati con amore, proposti
secondo le migliori teorie dell’alimentazione moderna, con l’amorevole
disciplina del Dottor Amal, la dolce fermezza di tata Lucia.
Oggi Mini e Micro mangiano pasta in bianco, hot dog, hamburger
e piadine, ascoltano rumori che chiamano musica, mi spiegano come usare il
cellulare e credono fermamente che il mio animale domestico sia stato un dinosauro!
E l’italiano? Stessa parabola: ho trasmesso loro tutta
l’imponente ricchezza della lingua italiana, la maestosità delle parole in altre
lingue, gli ho raccontato la vita delle parole: i miei nonni usavano termini
che non si usano più ma è bello saperli. E poi lo slang, la contaminazione di parole diverse.
Parole, quel complesso di suoni che trasmettono immagini immaginifiche.
Oggi Mini e Micro parlano correntemente ma che lingua
parlino ancora non è dato saperlo. Emettono suoni non sempre intellegibili di
una lingua sincopata a metà tra il rap, l’esperanto e qualche idioma sconosciuto
che temo sia lingua klingon. I singoli suoni sono incomprensibili per sé in più la velocità dell'eloquio è inversamente
proporzionale alla loro lunghezza. Per avere con loro un dialogo sensato servirebbe
un sistema di rallentamento della velocità di riproduzione.
“ggi am plstra” = “oggi a scuola siamo stati in palestra”
“aoa” = “allora”
“seee teeee ma oooodssshh” = “le tagliatelle mi piacciono ma
preferirei un hot dog”
“ooook a mpiti eeee” = “mi fa piacere andare al mare questo
weekend, però ho tanti compiti”
La velocità è figlia di questo tempo – banale! Anche io vivo a 300 all’ora per altro sono di Milano e la velocità è nel codice fiscale. Tutto è subito, adesso, non importa, vai, veloce, dai su, vabbè. Anche troppo forse. Però giuro che si può vivere velocemente e parlare velocemente pur articolando tutte le lettere di una parola. Mini e Micro invece parlano “a imbuto”. Pensano una frase e mentre la pronunciano stanno già pensando alle 5 successive. Il risultato è un rap inquietante: coso, cosa, tipo, uè, mà, cat, fed, oh, oohh, eeehhh, maaaa. Quest’ultimo è il più gettonato: il significato cambia a seconda del numero di “a”, della lunghezza di ciascuna e del timbro con cui viene pronunciata: da "ma=grazie" a “maa=sìì ho sentito”, “maaa=sììììì metto in ordine”, “mmm = buonanotte”, “MMM = buongiorno”...
Ecco perché sono qui, per trovare la forza chiudere il mio adorato vocabolarione, metterlo sul comodino, guardarlo, toccarlo e invece di dire “buonanotte ragazzi, sogni d’oro, a domani” provare la vertigine di un “nott-ao, mani” sperando di saper zippare dentro poche lettere concetti infiniti.